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Il rifiuto del part-time legittima il licenziamento solo se c'è prova dell'esistenza e del perdurare della crisi e l'impossibilità di mantenere il tempo pieno

Il rifiuto della trasformazione da full time a part time non costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento (art. 5, c. 1, D.Lgs n. 61/2000): peraltro, la giurisprudenza comunitaria impone l'interpretazione secondo la quale, se il datore di lavoro prova l'esistenza di effettive esigenze economico-organizzative in virtù delle quali non può più mantenere in forza il lavoratore a tempo pieno, nonché il nesso tra queste e il provvedimento espulsivo, il licenziamento è legittimo.Fermo restando tale assunto, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 21875 pubblicata il 27 ottobre 2015, ha accolto il ricorso di una lavoratrice licenziata perché aveva rifiutato la trasformazione del rapporto da full time a part time: l'azienda aveva sì perso una commessa importante, operando il licenziamento sulla base della crisi economica conseguente, ma la lavoratrice ha prodotto documenti atti a dimostrare che la medesima commessa, tre mesi dopo il licenziamento, era stata riaffidata all'azienda. Tale fatto cambia le sorti della causa giudiziaria: ai fini del giustificato motivo oggettivo, la crisi deve sì esistere al momento del licenziamento ma anche perdurare nel tempo, aspetto che la Corte Territoriale non tiene in considerazione non accogliendo la documentazione fornita in proposito dalla lavoratrice.I giudici della Corte Suprema affermano invece la presentabilità delle prove addotte dalla lavoratrice per dimostrare il riaffido della commessa all'azienda, non applicandosi il divieto in tale senso imposto dall'art. 1, c. 59 della Legge Fornero, in quanto il documento di prova è stato disponibile solo dopo il deposito del ricorso al Tribunale e risulta fondamentale ai fini della decisione.

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