Comporto: il calcolo incolpevolmente errato non giustifica comunque il recesso
L'azienda licenzia il lavoratore per il superamento del periodo di comporto per infortunio sul lavoro. Due mesi dopo il licenziamento, con grave ritardo rispetto ai tempi previsti dalla convenzione INPS INAIL del 25 novembre 2008, l'Istituto assicuratore comunica al lavoratore e al datore di lavoro che, dell'assenza del lavoratore, solo 105 giorni sono imputabili a infortunio sul lavoro, mentre gli altri sono considerati malattia. Con tali nuovi termini, il lavoratore non avrebbe superato il periodo di comporto, che il contratto prevede di 180 giorni ciascuno per l'infortunio e per la malattia, con conseguente illegittimità del licenziamento.Vittoriosa in primo grado e soccombente in secondo, l'azienda ricorre in Cassazione sostenendo l'incolpevole ignoranza circa l'imputabilità a malattia di parte dell'assenza del lavoratore. La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 26005 del 29 dicembre 2015, cassando il ricorso dell'azienda, ha ritenuto irrilevante il ritardo dell'INAIL nella comunicazione della riclassificazione dell'assenza, in quanto 'il giudizio sulla legittimità di un licenziamento è condizionato unicamente sulla sussistenza, o meno, dei presupposti di legge per la validità dell'atto risolutivo'. Risulta ininfluente, sempre secondo i giudici, il fatto che il datore di lavoro al momento del licenziamento si fosse basato su una situazione non corrispondente alla realtà dei fatti, pur incolpevolmente: pertanto, il licenziamento risulta illegittimo.